Into the Dreaming

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    Capitolo3_51




    Aedan fece ritorno nel bel mezzo della notte.
    La svegliò all’improvviso, strappandole via le coperte leggere dal corpo nudo e facendo volare Sexpot che miagolò contrariato lontano dal letto.
    “Aedan!” Sussurrò Jane, fissandolo. L’espressione era così feroce che il suo cervello addormentato si destò all’istante.
    Era ai piedi del letto, il suo sguardo oscuro perlustrava ogni centimetro del corpo nudo. Aveva intrecciato i capelli. Il volto era ombreggiato da un filo di barba nera che gli ricopriva la mascella. Nelle scorse settimane, aveva perso peso e sebbene avesse ancora muscoli potenti, c’era una certa magrezza in lui, uno sguardo pericolosamente affamato, come un lupo rimasto troppo a lungo solo e affamato nella foresta.
    Non disse una parola, si spogliò della maglia e lanciò via gli stivali, poi si avvicinò a lei.
    Non ci avrebbe mai creduto se qualcuno glielo avesse detto, ma emanava una sorta di furia a stento trattenuta, che la fece retrocedere in fretta contro la testiera del letto e incrociare le braccia sul petto in modo protettivo.
    “Oh, no, donna,” disse minacciosamente. “Non dopo tutte le volte in cui hai cercato di farti toccare da me. Non mi dirai di no adesso.”
    Gli occhi di Jane si spalancarono. “Io-io…”
    “Toccami.” Si slegò il tartan e lo lasciò cadere sul pavimento.
    La bocca di Jane si aprì. “I-io…” provò a dire, ma ancora una volta non ci riuscì.
    “C’è qualcosa di sbagliato in me?” Chiese.
    “N-no,” provò a rispondere Jane. “Ah-ah. Assolutamente no.” Deglutì in modo rumoroso.
    “E questo?” Strinse l’erezione palpitante. “Questo è come dovrebbe essere?”
    “Oh,” sospirò Jane con reverenza. “Assolutamente.”
    La guardò con sospetto. “Non lo stai dicendo giusto per dire, vero?”
    Jane annuì con la testa, gli occhi enormi.
    “Allora dammi uno di quei tuoi baci, donna, e fallo alla svelta.” Fece una pausa e dopo aggiunse con una voce bassa, e tesa: “Ho freddo, donna. Ho così freddo...”
    Il respiro di Jane si bloccò e gli occhi le si annebbiarono. La vulnerabilità in quelle parole sciolse le sue paure. Si alzò sulle ginocchia sul letto e allungò le mani verso di lui.
    Senza perdere il contatto visivo, fissandola come se l’approvazione fosse tutto ciò di cui avesse bisogno, le strinse lentamente le mani e la spinse con delicatezza, dove si inginocchiò.
    Lei abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate e lo sguardo di lui la seguì. Le mani di Jane erano piccole e bianche, quasi ingoiate dalle sue dita forti e abbronzate. Le strinse, assaporando il primo reale momento in cui stringeva le mani di Aedan. Fino ad allora, lo aveva toccato solo nei suoi sogni. Chiuse gli occhi, godendo di ogni sensazione, bevendone fino all’ultima goccia.
    Lei aprì gli occhi e trovò Aedan che la fissava adorante, in attesa.
    “A volte penso di conoscerti, donna.”
    “Mi conosci,” rispose, con un groppo in gola. “Sono Jane.” La tua Jane, desiderava gridare.
    Lui esitò per un lungo momento, poi disse: “Mi chiamo Aedan. Aedan MacKinnon.”
    Jane lo fissò con uno sguardo interrogativo. “Te lo sei ricordato!” Esclamò. “Oh, Aedan…”
    Non le fece completare la frase e le poggiò un dito sulle labbra. “Ha importanza? I paesani pensano che io lo sia. Tu pensi che io lo sia. Perché non dovrei esserlo?”
    Il cuore di Jane saltò un battito. Ancora non ricordava.
    Ma…lui era qui, e voleva che lei lo toccasse. Avrebbe preso ciò che lui le offriva.
    “Jane,” disse con urgenza. “Sono come un uomo dovrebbe essere?”
    Tutto ciò che un uomo dovrebbe essere,” lo rassicurò.
    “Allora insegnami cosa un uomo fa con una donna come te.”
    Oh, il cuore fece una capriola. Lo sguardo nei suoi occhi era così innocente e speranzoso, da oscurare quasi l’onnipresente disperazione.
    “Primo,” disse dolcemente, mentre si portava la mano di Aedan alle labbra: “lui la bacia, così.” Gli depose un dolce bacio sul palmo e gli chiuse le dita. Lui fece lo stesso con le mani di lei, soffermandosi sulla pelle sensibile del palmo.
    “Dopo,” sospirò, “le permette di toccarlo ovunque. In questo modo.” Jane fece scorrere le mani lungo quel corpo muscoloso fino ai capelli. Togliendogli la cinghia di pelle, infilò le dita nella treccia fino a che i capelli non gli ricaddero scuri e setosi intorno al viso. Gli fece scorrere le mani sul volto, guardandolo negli occhi. Era fermo sotto il suo tocco, lo sguardo fuori fuoco.
    “Di più,” le ordinò, un gatto randagio affamato di contatto fisico.
    “E lo tocca qui,” disse, accarezzandogli le spalle, i muscoli della schiena, i fianchi e di nuovo su i magnifici addominali e il petto possente. Impossibilitata a resistere, gli appoggiò la testa al petto e lo leccò, assaporando il gusto salato della pelle.
    Gli sfuggì un primitivo mugolio e il calore della sua eccitazione le palpitò insistentemente contro le cosce.
    Jane gemette al contatto e si strofinò contro di lui. Gli leccò il collo, la mascella, le labbra e gli seppellì le mani nei capelli. “Dopo, lui preme le labbra…”
    “Conosco questa parte” disse, quasi compiaciuto.
    Mettendo la bocca su quella di Jane, la baciò; un profondo e affamato bacio che le rubò l’anima e l’attirò contro di sé.
    La sensazione dei loro corpi nudi, pelle contro pelle, gli diede alla testa. Lo fece ardere, tremare di desiderio. Non aveva mai… mai sospettato che si potesse provare un tale piacere nel toccarsi. Sentire le sue piccole mani sul corpo lo rese sempre più ardente come nessun fuoco avrebbe potuto essere e ciò lo portò a cadere sulle ginocchia dentro di sé.
    Jane gli aveva detto che era come gli altri uomini e lo aveva toccato come se bramasse disperatamente il suo corpo. Gli era piaciuto. Lo aveva fatto sentire… oh, solo sentire e sentire.
    Le morse e succhiò le labbra, dopo spinse con vigore e in profondità la lingua. Il corpo si muoveva a un ritmo innato e primordiale. Jane divenne argilla tra le sue braccia, cadde indietro sul letto e lui la seguì, allungandosi sulla sua figura morbida e lussuriosa. “Cristo, donna, non ho mai visto nulla come te!” Intossicato, la baciò intensamente, la calda e setosa lingua giocò con quella di lei. Quando spostò le gambe sotto le sue, il membro gonfio si ritrovò improvvisamente tra le cosce, e si spinse d’istinto verso di lei. Jane sollevò il bacino, premendolo contro di lui, e Aedan pensò che sarebbe morto per quelle sensazioni. Le afferrò il sedere e l’attirò più vicina. Affondò le dita nella morbidezza del suo sedere nudo e ciò lo riempì di una selvaggia e fiera sensazione… un’urgenza di possederla, di tenerla sotto di lui fino a quando non avesse gridato di piacere, fino a che non avesse sussultato sopra di lei. Alcune immagini gli tornarono in mente:
    Un uomo e una donna che si rotolavano nudi su di un letto. Il continuo pompare dei fianchi dell’uomo, di anche slanciate e di polpacci alzati vicino al petto della donna, il profumo di muschio della pelle, il sudore, la freschezza e il calore di…
    “Tu non hai nessun clan. Non hai nessuna casa,” disse il Re Oscuro.
    “Non è vero. Ho un clan sulle Highlands. Le mie Highlands. La mia casa.” Il pensiero della sua gente lo sosteneva. Insieme a un altro splendido pensiero… ma il Signore aveva cercato di rubare anche quello, il suo ricordo più importante, così ci aveva costruito una torre di ghiaccio intorno per tenerlo al sicuro.
    “Tutta la gente del tuo clan è morta secoli fa, folle che non sei altro. Dimenticali!”
    “No! Il mio popolo non è morto.” Ma sapeva che era vero. Nient’altro che polvere tornata al suolo delle Highlands.
    “Tutti coloro di cui ti importava sono morti. Il mondo è andato avanti senza di te. Tu sei la mia Mano della Vendetta, la bestia che obbedisce ai miei comandi.”
    E dopo immagini più oscure, come il dolore, infinito lo tormentarono… e andò avanti e avanti fino a che non ci fu più nulla se non una singola lacrima gelida e ghiaccio dove una volta batteva il suo cuore che pompava il sacro sangue dei Re di Scozia.

    La spinse via, ruggendo.
    Sconvolta, Jane cadde indietro sul letto. Scioccata dal suo improvviso cambiamento, balbettò: “C-c-cosa…” Scosse la testa, cercando di comprendere, di capire cosa stesse succedendo. Un minuto prima era pronto a fare l’amore in modo selvaggio con lei, e quello dopo si trovava lontano, inorridito. “Perché ti sei fermato?”
    “Non posso farlo!” gridò. “Fa troppo male!”
    “Aedan… è solo…”
    “No! Non posso, donna!” Gli occhi selvaggi, tremava, si girò e scappò come una furia dalla camera da letto.
    Ma non prima che lei vedesse i ricordi nel suo sguardo oscuro.
    Non prima che vedesse la prima debole presa di coscienza su chi e cosa fosse in realtà.
    “Oh, ricordi,” respirò in una stanza vuota ormai. “Ricordi.” Il freddo le percorse la schiena.
    Ricordava. Lo aveva visto nei suoi occhi. Nel dolore inciso sul volto, nella rigidità del corpo. L’aveva lasciata, muovendosi come un uomo che aveva superato dieci round sul ring, le cui costole erano livide, il cui corpo era tumefatto dalla testa ai piedi.
    Lei aveva l’orribile sentimento che potesse abbandonarla, che potesse semplicemente tornare indietro dal suo Re così per non affrontare quello che gli stava capitando.
    “Aedan!” Gridò, saltando dal letto e correndo dietro di lui.
    Ma il castello era vuoto. Aedan era già sparito.




    Capitolo4_50




    Jane procedeva nel castello con aria abbattuta, le spalle basse. Era passata una settimana da quando Aedan se n’era andato e le restavano solo due giorni prima… prima di qualsiasi cosa sarebbe accaduta. Non aveva idea di cosa sarebbe successo con esattezza, ma era certa che non le sarebbe più stato accanto.
    Non sarebbe stato in quel castello. Né nei suoi sogni.
    Lasciandola a una vita di cosa? Ricordi, imparagonabili.
    Restia ad andarlo a cercare nel caso facesse ritorno e non la trovasse, pianse in continuazione per una settimana. A stento capace di parlare con gli abitanti del villaggio quando andarono a lavorare ogni giorno. Il castello stava migliorando, ma a che pro? Sia il Lair sia la Signora sarebbero spariti nell’arco di venti quattro ore o poco più. Come le sarebbe mancato quel posto! Il paesaggio selvaggio e impervio, la gente onesta e lavoratrice che sapeva trovare gioia dalle piccole cose.
    Ricacciando indietro le lacrime, chiamò Sexpot che, per una volta, non arrivò zampettando sul pavimento in pietra, con la coda che si muoveva sinuosamente.
    Si guardò intorno con occhi offuscati dalle lacrime, poi lo vide.
    Aedan era seduto davanti al camino con un piede sullo sgabello e Sexpot appallottolato in grembo.
    Come se trovarsi lì ad accarezzare “la piccola bestia inutile” non fosse abbastanza, aveva appoggiato il dipinto che Elias aveva portato alla luce settimane prima contro il tavolo in modo che lo avesse di fronte e lo guardava.
    Doveva aver fatto qualche suono, perché senza allontanare lo sguardo, la mano che si muoveva con dolcezza sul pelo argenteo del gattino, disse: “Ho camminato per un po’ per le Highlands. Uno degli abitanti è stato felice di traghettarmi fino alla terra ferma.”
    Jane spalancò la bocca, poi la richiuse di nuovo. Un intenso sollievo fluì in lei che la fece quasi cadere sulle ginocchia. Aveva ancora due giorni per provarci. Grazie, Dio sussurrò.
    “Molte cose sono cambiate,” continuò. “Poche mi sono familiari. Ho perso l’orientamento un paio di volte.”
    “Oh, Aedan.” Disse con dolcezza.
    “Avevo bisogno di conoscere di nuovo questa terra. E… credo… di volere del tempo.”
    “Non devi spiegazioni,” si affrettò a rassicurarlo. Il solo fatto che fosse tornato era abbastanza. Aveva quasi rinunciato.
    “Ma devo,” rispose, lo sguardo fisso sul dipinto. “C’è molto che devo spiegarti. Hai diritto di sapere. Cioè,” aggiunse con prudenza: “se desideri ancora condividere questi alloggi con me.”
    “Lo voglio, Aedan,” rispose all’istante. Un po’ della tensione sembrò abbandonare il suo corpo. Come poteva fargli capire che non voleva solo condividere “gli alloggi” ma anche corpo e cuore? Desiderava condividere tutto con lui, ma c’era qualcosa che doveva sapere, parole che doveva sentirgli dire: “Sai chi sei?” Trattenne il fiato nell’attesa.
    La guardò con calma, un sorriso dolceamaro gli si dipinse sulle labbra. “Ah, sì, donna. Sono Aedan MacKinnon, figlio di Findanus e Mary MacKinnon di Dun Haakon sull’isola di Skye. Nato nel otto cento novantanove. Nipote di terzo grado di Kenneth McAlpin e ultimo della mia gente.” Portò lo sguardo di nuovo sul dipinto.
    Le sue parole, pronunciate in modo così regale e con tanto dolore, le fece venire un brivido lungo la schiena. “Oltre a questo, devi solo dirmi cosa desideri,” gli disse a bassa voce.
    “Allora ti chiedo di ascoltare bene, perché non so quando avrò voglia di ripeterlo.” Detto quello, diventò pensieroso e fissò il fuoco come se cercasse le parole giuste.
    Infine, si alzò e disse: “Quando avevo trent’anni… un uomo, di qualche tipo… giunse al castello. In un primo momento pensai che era venuto per sfidarmi perché ero conosciuto come il guerriero più forte delle isole, discendente dal potente McAlpin. Forse ero un po’ pieno di me.” Fece una smorfia di disapprovazione verso sé.
    “Ma quell’uomo…” si interruppe scuotendo la testa. “Quell’uomo mi terrorizzava. Assomigliava a un uomo ma era morto dentro. Era di ghiaccio. Freddo. Non umano, ma umano. So che non ha senso, ma era come se tutta la vita fosse stata risucchiava da lui, eppure respirava. Temevo che avrebbe fatto del male alla mia gente e si sarebbe fatto beffe di me mentre lo faceva. Era grosso e alto aveva poteri più che mortali.”
    Quando si fermò, perso nei ricordi, Jane sussurro: “Per favore, continua.”
    Fece un respiro profondo. “Mamma e Papà erano in mare aperto con i miei fratelli tranne la più giovane. Io e la mia sorellina eravamo qui.” Indicò il ritratto. “Rose.” Chiuse gli occhi e se li strofinò. “Anche se ho peccato di arroganza, donna, tutto ciò che ho sempre desiderato era una famiglia, avere bambini, vedere le mie sorelle e i miei fratelli crescere ed educare i loro figli. Desideravo vivere una vita semplice e diventare un uomo d’onore. Un uomo che una volta sotto terra, gli altri avrebbero detto: “Era un brav’uomo.” Eppure quel giorno, sapevo che quelle cose non sarebbero mai venute, a causa dello straniero che minacciava di distruggere il mio mondo. E sapevo che ne era capace.
    Gli occhi si annebbiarono e Jane corse da lui, si sedette sullo sgabello poggiapiedi e gli mise una mano sulla coscia per incoraggiarlo.
    Aedan la coprì con la sua mentre fissava il dipinto.
    Dopo alcuni minuti, si voltò a guardarla e Jane sussultò debolmente all’angoscia nei suoi occhi. Voleva depositargli dei baci sulle palpebre come se potessero allontanare tutto il dolore e assicurarsi che niente potesse fargli ancora del male.
    “Feci un patto con quella creatura: se avesse lasciato in pace il mio clan, sarei andato con lui dal suo Signore. Il Re mi offrì un accordo e io accettai, pensando che cinque anni sarebbero stati un prezzo terribile da pagare e chiedendomi come avrei potuto sopportare tutto quel tempo nel suo regno di ghiaccio e ombre. Ma non si riferiva a cinque anni, donna… erano cinquecento. Cinque secoli in cui dimenticai…” Abbatté un pugno sul bracciolo della sedia. Spinse il gattino verso di lei, si alzò in piedi e cominciò a camminare. Sexpot, allarmato dall’improvviso frastuono, zampettò via verso la tranquillità della camera da letto.
    “Divenni come lui… colui che venne a reclamarmi. Persi l’onore. Divenni il più vile tra i vili, il…”
    “Aedan, fermati,” disse Jane.
    “divenni quella cosa che disprezzavo, donna!”
    “Sei stato torturato,” lo difese. “Chi poteva sopravvivere cinque secoli di… di…” Si interruppe non sapendo ciò che aveva passato.
    Aedan sbuffò di rabbia. “Li ho lasciati andare, per sfuggire alle cose che il Re mi faceva. Ho abbandonato i ricordi del mio clan, della mia Rose. Più dimenticavo, meno mi puniva. Dio, c’erano cose nel reame del Signore oscuro così…” Ruggì, scuotendo la testa.
    Dovevi dimenticare,” disse Jane con trasporto. “È un miracolo che tu sia sopravvissuto. E sebbene tu possa pensare di essere diventato quella creatura di nome Vendetta, venuta per te… non è vero. Ho visto il buono in te quando sono venuta qui. Ho visto la tenerezza, la parte di te che desiderava essere ancora una volta un uomo semplice.”
    “Ma non sai le cose che ho fatto.” Rispose con voce dura, bassa e spietata.
    “Non le so, a meno che tu non voglia rivelarle, ho bisogno di sapere. Tutto ciò che so è che non tornerai da lui. Non tornerai mai più da lui, vero?” insistette.
    Non rispose, rimase fermo lì, perso e pieno di disgusto verso se stesso. La testa abbassata, i capelli gli nascondevano il volto.
    “Resta con me. Ti voglio, Aedan,” disse, con il cuore che le doleva.
    “Come puoi? Come possono volermi gli altri?” chiese risentito.
    Ah, pensò, capendo. Voleva far parte del mondo mortale, ecco perché era tornato a Dun Haakon, invece di tornare dal suo Re, ma sentiva di non meritarlo. Temeva che nessuno lo avrebbe voluto, che una volta che avesse saputo ciò che era stato, lo avrebbe allontanato.
    Si voltò a guardarla per poi distogliere velocemente lo sguardo, ma non prima di avere la speranza combattere con la disperazione nei suoi occhi.
    Si alzò e protese una mano. “Prendila, Aedan. È tutto ciò che devi fare.”
    “Non sai cos’hanno fatto queste mani.”
    “Afferra la mia mano, Aedan.”
    “Vattene. Una donna come te non è adatta a quelli come me.”
    “Prendi la mia mano,” ripeté. “Poi farlo adesso o tra dieci, venti anni. Perché io sarò ancora qui ad aspettarti. Non ti lascerò. Mai.”
    Il suo sguardo afflitto la osservò. “Perché?”
    “Perché ti amo,” rispose Jane, gli occhi pieni di lacrime. “Ti amo, Aedan MacKinnon. Ti amerò per sempre.”
    “Chi sei? Perché tieni a me?” La sua voce rauca si alzò e si incrinò.
    “Ancora non ti ricordi di me?” Chiese Jane mestamente.
    Aedan pensò, spingendosi nei meandri più profondi di lui, quella parte che era ancora avvolta nel ghiaccio. Una solida e scintillante torre di gelo si ergeva dietro il petto e nascondeva qualcosa. Impotente, scosse la testa.
    Jane deglutì. Non importava, si disse. Non aveva bisogno di ricordare il loro tempo insieme nei sogni. Poteva conviverci, se significava che avrebbe potuto passare il resto della vita lì sull’isola in sua compagnia. “Va bene,” disse infine con un sorriso coraggioso. “Non devi ricordarti di me, finché…” Si interruppe all’improvviso, sentendosi troppo vulnerabile per parlare.
    “Finché cosa, donna?”
    Con voce debole, rispose: “Pensi che potresti affezionarti a me? Nel modo in cui un uomo tiene a una donna?”
    Aedan inspirò bruscamente. Se solo sapesse. Nella settimana in cui aveva vagabondato, aveva pensato ad altro. Sapeva che le avrebbe fatto un favore non tornando mai più, eppure non ci era riuscito. Sognarla, svegliarsi per ritrovarsi ad abbracciare il vuoto. Finché, incapace di allontanarla dal suo cuore, aveva affrontato i suoi ricordi. Finché, disprezzandosi, era tornato a Dun Haakon per spingerla a obbligarlo ad andarsene, per vedere il disgusto nei suoi occhi ed essere cacciato in modo che potesse morire dentro.
    Ma in quel momento lei era lì, a mani protese che gli chiedeva di restare, di usare liberamente il suo corpo e il suo cuore.
    Gli offriva un dono che non meritava, ma giurò di guadagnarselo.
    “Vuoi questo da me? Proprio io che ero a stento umano quando mi hai incontrato? Potresti avere qualsiasi uomo che desideri, donna. Qualunque degli abitanti del villaggio. No, persino il Re di Scozia.”
    “Voglio solo te, o nessuno. Mai.”
    “Ti fideresti tanto? A lasciarmi diventare il tuo… uomo?”
    “Mi fido già.”
    Aedan la fissò. Provò a parlare diverse volte, ma richiuse la bocca altrettante.
    “Se mi rifiuti, mi butterò nel mare,” annunciò Jane in modo drammatico. “E morirò.” Non era vero, perché Jane Syllee non era una che si arrendeva, ma non c’era bisogno che lui lo sapesse.
    “No… non andrai verso il mare!” Ruggì. Gli occhi scintillarono e si mosse verso di lei.
    “Sono così sola senza di te, Aedan,” disse semplicemente.
    “Mi vuoi davvero?”
    “Più di qualunque cosa. Sono incompleta senza di te.”
    “Allora sarai la mia donna.” Le sue parole erano determinate, un legame che non avrebbe permesso venisse infranto. Aveva dato tutta se stessa per il castello. Non l’avrebbe mai lasciata andare.
    “E tu non mi lascerai mai?” Insistette.
    “Starò con te per sempre, donna.”
    Gli occhi di Jane scintillarono e lo guardò in modo strano. “E oltre?” chiese senza fiato.
    “Oh, sì.”
    “E possiamo avere dei bambini?”
    “Una mezza dozzina se li desideri.”
    “Possiamo iniziare adesso?”
    “Oh, sì.” Un sorrise gli disegnò le labbra; il primo sorriso completo che vedeva su quel bellissimo viso. L’effetto fu devastante: era del tipo pericoloso, un sorriso consapevole che trasudava una promessa sensuale. “Dovrei avvertirti,” le disse con gli occhi che brillavano. “Ricordo com’è essere un uomo adesso, donna. Tutto E sono sempre stato un uomo dagli appetiti esigenti e voraci.”
    “Oh, ti prego,” sussurrò. “sii vorace quando desideri. Esigente meno.”
    “Inizierò piano,” disse con gli occhi scintillanti. “Inizieremo con la pressione delle labbra che tanto ti piace,” la stuzzicò.
    Jane si lanciò verso di lui e quando le braccia la avvolsero, divenne selvaggia, toccò e baciò, aderendo a lui.
    “Donna, ho bisogno di te,” gemette, inclinando la bocca sulla sua. “Da quanto ho ricordato le cose che un uomo sa, non ho pensato a nient’altro che alle cose che desidero farti.”
    “Mostramele,” sussurrò.
    E lo fece, si prese il suo tempo, sollevando l’abito finché non fu nuda davanti a lui, baciò, succhiò e assaporò ogni centimetro del suo corpo.
    Non ebbe alcuna difficoltà a trovare la sua “parte più privata”.




    Capitolo5_46




    Il Re Oscuro avvertì il preciso istante in cui perse la sua Mano della Vendetta. Sebbene il mortale Highlander non avesse ancora recuperato pienamente la memoria, amava ed era ricambiato.
    Il volto del Re cambiò come mai aveva fatto prima; gli angoli delle labbra si sollevarono leggermente.
    Umani, pensò sarcasticamente, così facilmente manipolabili. Come sarebbero stati furiosi se avessero saputo che non era compito loro cominciare e decidere, e infatti, raramente lo era. Vendetta si era comportato esattamente come ci si aspettasse, attorcigliando i suoi tre nebulosi consigli e con un’ostinata ribellione umana aveva aiutato il Re nel suo scopo.
    Eoni fa, una giovane Regina Seelie per la quale aveva sofferto una fame infinita gli era sfuggita prima che lui avesse finito con lei.
    La Regina non aveva più rischiato di entrare nel suo reame.
    Il suo sorriso crebbe. Se avesse dovuto abbassarsi per la conquista, non era da lui.
    Il Re trattenne una risata, gettò indietro la testa e emise un ruggito furioso che risuonò attraverso la struttura dell’universo.

    La Regina Bianca strinse i denti al grido del Re Oscuro e si permise un piccolo e privato sorriso.
    Allora, rifletté, sentendosi abbastanza felice, lui aveva perso e lei aveva vinto. Ciò la faceva sentire estremamente magnanima. Sorseggiando del nettare da uno splendente e paffutello fiorellino, lei ricadde sulla schiena e si stiracchiò languidamente.
    Forse avrebbe dovuto offrire al Re Oscuro le sue condoglianze, pensò. Dopotutto, entrambi erano dei reali, e un reale faceva quel tipo di cose.
    Dopotutto, aveva vinto lei.
    Poteva soltanto abbassare la testa e ritirarsi, gongolando un po’.
    E se lui avesse cercato di trattenerla? Di tenerla prigioniera nel suo reame? Rise sommessamente. Lo aveva sconfitto questa volta. Gli aveva dimostrato di essere più forte di quanto lo fosse millenni fa, quando l’aveva imprigionata per un po’.
    Sentendosi potente, inebriata dalla vittoria, chiuse i suoi occhi e immaginò il suo Signore di ghiaccio…

    Il gelo del reame le tolse il respiro. Poi lo vide e respirò bruscamente riempiendo i polmoni di aria fredda. Il ricordo di lui non gli rendeva giustizia. Era ancora piò esotico di quel che ricordava. Un’oscurità palpabile lo circondava. Era potente e letale, e lei sapeva in base alla sua esperienza intima quanto fosse inventivamente ed esaustivamente erotico. Un vero maestro del dolore, lui comprendeva il piacere come nessun altro riusciva a fare.
    “Mia Regina,” la accolse, gli occhi di ghiaccio e scuri come la notte brillarono.
    Nonostante la Regina Seelie fosse potente, trovò impossibile guardare in quegli occhi per più di un attimo. Alcuni affermavano che fossero stati svuotati di ogni cosa e il caos più puro amoreggiava nelle sue orbite.
    Inclinò la testa, avvertendo la sua vista sempre più debole. “Sembrerebbe che tu abbia perso la tua Mano della Vendetta, mio Re,” mormorò.
    “Sembra proprio di sì.”
    Quando si alzò dal suo trono, crebbe e crebbe sempre di più, lei trattenne il respiro. Non più del tutto essere fatato, il suo sangue era mischiato con quello di una creatura che persino la Regina Seelie temeva di nominare. La sua ombra si muoveva innaturalmente mentre si alzava, serpeggiando intorno a lui, essa voleva muoversi indipendentemente dal suo ospite.
    “Sembri imperturbato dalla tua sconfitta, mio Re,” mormorò, determinata ad assaporare ogni goccia della sua vittoria. “Non ti interessa averlo perso? Cinque secoli di lavoro gettati al vento.”
    “Credi di conoscere il mio obiettivo.”
    La Regina si irrigidì, fissò i suoi occhi più di quanto fosse saggio fare. “Non fingere di aver voluto perdere. Non fingere di avermi manipolato.” La voce divenne di un gelo degno di quel reame oscuro.
    “La perdita è una cosa relativa.”
    “Io ho vinto. Ammettilo,” lo aggredì verbalmente.
    “Dubito che tu sappia persino a quale gioco abbiamo giocato, mia Regina.” La sua voce profonda, setosa e ipnotica, la prese in giro, “Sei venuta a pavoneggiarti perché la mia sconfitta ti ha fatto sentire potente? Ti ha fatto sentire al sicuro cercarmi? Attenta. Un essere come me potrebbe essere incline a farti trovare una ragione per farti venire qui. Per sprofondare nella mia oscurità.”
    “Non sono sprofondata in nulla,” sibilò, sentendosi improvvisamente una folle. Lei era giovane secondo i suoi trascorsi, per il Re Oscuro, che era un antico nato dai lombi di un’era della quale aveva solo sentito leggende.
    Lui non disse nulla, la guardò appena, lo sguardo di una solennità palpabile. Lei represse un brivido, ricordando l’ultima disavventura in quel reame. Non era quasi riuscita a evocare il suo potere per andar via. Ma, la Regina aveva ceduto a un desiderio sessuale così intenso che quasi l’aveva portata in ginocchio, non aveva avuto tanta fretta di lasciare il pericoloso letto del Re Oscuro. E lì dentro il pericolo raddoppiava…
    “Sono qui per offrire il mio cordoglio,” disse freddamente.
    Anche solo la sua risata poteva sedurla. “Allora offrilo, mia Regina.” Si mosse in un vortice di oscurità. “Ma offri quello per il quale sappiamo tu aneli. La tua resa volontaria.”
    E fu su di lei, la prese tra le braccia e le sue ali cominciarono a sbattere e lei lasciò cadere la testa sul suo freddo petto. L’oscurità era così spessa da avere una consistenza e un sapore che la circondavano.
    “Mai.”
    “Ascoltami attentamente, mia cara, l’unica cosa che tu non sarai mai con me… è essere al sicuro.”
    Molto dopo, quando lui la possedette completamente, una luna piena di sangue macchiò il cielo sulle Highlands di Scozia.


    Aedan fece l’amore con Jane come un uomo che aveva compreso che quel giorno, quel momento era al sicuro nel palmo della sua mano, la prese con un’urgenza passionata di un uomo scozzese appartenente al decimo secolo che non sapeva cosa l’indomani avesse in serbo: una guerra brutale, siccità, una tempesta che avrebbe distrutto i raccolti. Fece l’amore con lei come un uomo che stesse per affogare, disperato di raggiungere salvezza del suo corpo… lei era la sua costa, la sua zattera, il suo porto contro qualunque tempesta.
    E dopo l’amò di nuovo.
    Con una gentilezza squisita. Strofinò le labbra contro l’incavo caldo del suo collo, proprio dove pulsava il battito del cuore. Le baciò il dolce pendio dei seni, assaporò il sapore salato della sua pelle e la dolcezza della sua luccicante passione tra le cosce, e penetrò profondamente nel calore più intimo di quella profondità.
    Divenne parte di lei. Alla fine, conobbe quel tipo di amore che rendeva due persone una cosa sola e comprese che Jane era il suo mondo. Il suo oceano, il suo paese, il suo sole, la sua pioggia, il suo vero cuore.
    E quella lucente, innevata cittadella dietro le sue costole, dietro le quali aveva celato al Re Oscuro ciò che gli era più prezioso, si frantumò dalle fondamenta e crollò.
    E finalmente ricordò ciò che aveva sigillato…la sua Jane.

    “Jane, mia dolce Jane,” gridò con voce roca.
    Gli occhi di Jane si aprirono. Era dentro di lei, che la amava con lentezza e con intensità, e sebbene l’avesse chiamata con il suo nome a voce alta più di una volta, era diversa in quel momento.
    Aveva ricordato, finalmente? Tutti quegli anni che avevano trascorso insieme nei sogni, giocando e amandosi e danzando?
    “Aedan?” Il suo nome racchiudeva una domanda che temeva di porre.
    Circondandola con i suoi avambracci, la fissò. “Tu sei venuta da me. Ricordo adesso. Venisti mentre dormivo, nel Regno dei Sogni.”
    “Sì,” disse Jane, lacrime di gioia le offuscavano la vista.
    Non c’erano parole per quel momento, solo i dolci suoni della passione, di una donna interamente amata dal suo uomo.
    Quando alla fine lei ricominciò a respirare, disse, “Sei sempre stato con me. Mi hai guardato crescere, ricordi?” Rise tra sé. “Quando avevo tredici anni, ero tremendamente spaventata di vederti perché ero così goffa…”
    “No, non lo eri affatto. Eri una ragazzina piccola e adorabile, ti ho vista sbocciare e ho visto ciò che saresti diventata. Non aspettavo altro che il giorno in cui saresti stata abbastanza grande da poterti amare in ogni modo possibile.”
    “Bene, non dovevi aspettare così tanto,” mormorò con un po’ di rimpianto. “Mmm,” aggiunse, annaspando, quando lui le morse un capezzolo con i denti. “Fallo di nuovo.”
    Lo fece. E ancora, e ancora finché i suoi seni non diventarono gonfi e sensibili. Dopo lui strofinò le sue guance ispide di barba contro i capezzoli, creando una deliziosa frizione.
    “Ti ho reclamata a diciotto anni,” disse infine.
    “Come ho detto… ci hai messo un po’. Ero già pronta prima. Ero pronta già a sedici anni… ooh!”
    “Eri ancora una marmocchia,” disse indignato, mentre veniva dentro di lei.
    “Non ti fermare,” sospirò.
    “Non pensare nemmeno per un minuto che non sia stato difficile dirti di no. Ma mia madre insisteva che tutti i suoi figli avessero pazienza con le loro donne e che lasciassero loro il tempo di vivere l’infanzia, prima di crescere dei bambini.”
    “Ti prego,” piagnucolò Jane.
    Ascoltando il suo lamento, spinse senza sosta e lei gridò il suo nome più e più volte, spingendo le dita nei fianchi muscolosi di Aedan, spingendolo nelle sue intime profondità.
    La baciò, spegnendo le sue grida con le labbra finché i brividi non diminuirono.
    “Hai avuto abbastanza tempo, piccola Jane?” le chiese dopo, quando giaceva assonnata e soddisfatta nelle sue braccia. “Potremmo aver concepito un figlio, in questi giorni, comprendi?”
    Jane era raggiante. Gli occhi luccicanti erano di nuovo caldi come un mare tropicale sul volto, le labbra si incurvarono con sensualità e tenerezza. L’aveva finalmente ricordata! E lei poteva anche avere il suo bambino in grembo. “Ne voglio almeno una dozzina,” lo rassicurò lei, sorridendo.
    Poi lei cominciò a riflettere, toccandogli vistosamente la mascella. “Quando avevo ventidue anni, i sogni sembravano diversi. Erano ripetizioni di sogni precedenti.”
    La sua mandibola si tese sotto la mano.
    “Ti ho perso,” disse. “Vero?”
    “Il Re aveva scoperto che stavo riguadagnando forza dai miei sogni. Mi impedì di raggiungerti lì,” rispose Aedan bruscamente.
    Lei ansimò. “Come?” Gli domandò, insicura se volesse conoscere la risposta.
    “Credimi non vuoi saperlo e io non desidero parlarne. È finita adesso,” disse lui, gli occhi si scurirono.
    Jane non insistette e lasciò perdere, sapeva che quando sarebbe arrivato il momento e lui avrebbe voluto raccontarglielo, sarebbe stata là per ascoltare. Per il momento, avrebbe aspettato che Aedan diventasse del tutto il suo Aedan.
    Improvvisamente le sorrise, abbagliandola. “Eri la mia luce, piccola Jane. La mia risata, la mia speranza, il mio amore e adesso sarai mia moglie.”
    “Mmm,” disse lei con impudenza, “se credi di cavartela con questa debole proposta, ti sbagli.”
    Lui rise. “La tua testardaggine è stata una delle prime cose che mi sono piaciute di te, tesoro. Così tanto fuoco, e per quanto fossi freddo, mi hai riscaldato. Impertinente come mia madre, esigente come le mie sorelle, ma tenera di cuore e debole di volontà quando si tratta della passione.”
    “A chi stai dando della debole?” Rispose lei, con un cipiglio indignato.
    Aedan le lanciò un’occhiata provocante da sotto le palpebre semichiuse. “Come se non fosse ovvio che avevi un debole per me. Hai passato le scorse notti a cercare di sedurmi…”
    “Solo perché mi avevi dimenticata! Altrimenti tu avresti dovuto rincorrermi!”
    Certa di questo, scattò lontano da lui e sgusciò via dal letto, poi uscì di corsa verso il salone. Sicura che l’avrebbe seguita, fiutandola come una grande e avida bestia.
    E quando la catturò…


    E quando la catturò, fece con lei l’amore in modo selvaggio e appassionato. Musica celestiale suonò dal Paradiso. Trombe dal Paradiso: (Ve lo giuro, c’erano!). Gli arcobaleni si riunirono per brillare su Dun Haakon. L’erica fiorì e anche il sole sembrò impallidire a confronto con la luminosità del vero amore.
    E quando Aedan le chiese di sposarlo, lo fece in ginocchio, con un anello d’oro ricoperto di rubini a forma di cuore, come se avesse giurato di amarla per sempre. Ma quella era un’altra storia.




    Estratto dal manoscritto non pubblicato di Jane Sillee MacKinnon “Fuoco delle Highlands”




    Epilogo_17




    “Non dimenticare l’ultimo capitolo, Aedan,” gli ricordò Jane quando lo vide sgattaiolare via dal loro letto. “La settimana scorsa lo ho dimenticato ed Henna disse che avrebbero assaltato il castello se non avessi fatto sapere loro come finisce tra Beth e Duncan.”
    “Non lo dimenticherò, donna.” Mentre indossava una maglietta e un tartan, Aedan prese i fogli di pergamena dal tavolo. Osservò l’inizio della pagina.

    Lei trattenne il respiro, aspettando che la baciasse, sapendo che non sarebbe mai stata la stessa una volta assaggiata la passione di quel bacio. Il suo buon Highlander aveva combattuto valorosamente per i Bruce ed era tornato a casa ferito nel cuore e nel corpo. Ma lei lo aveva curato…

    “Sai, gli uomini dicono che da quando le loro mogli hanno cominciato a leggere i tuoi racconti sono molto più…ehm…appassionate,” le confessò Aedan. Assolutamente sconce, le avevano definite gli uomini in effetti. Insaziabili. Pianificavano modi per sedurre i loro uomini a tutte le ore. Le sue storie avevano lo stesso effetto su di lui. Leggere una delle sue scene d’amore aveva sempre avuto l’effetto di rendere il suo membro duro come la roccia. Aedan si domandò se lei sospettasse che prima di consegnare le pagine alle donne bramose, lui si sarebbe fermato nella taverna dove i mariti avrebbero ascoltato, con molti più gesti e risate fragorose, lui che leggeva l’ultima recente puntata. Sebbene loro allenassero “le loro parti basse”, ognuno di loro si presentava ogni martedì quando faceva la visita settimanale al villaggio. La scorsa settimana, tre di loro erano venuti a controllare perché non si fosse presentato con la storia di quella settimana.
    “Davvero?” Jane era orgogliosa.
    “Certo,” rispose Aedan, ghignando. “Ti ringraziamo per questo.”
    Jane era raggiante. Appena si infilò gli stivali, lei gli ricordò: “Oh, e non dimenticare, voglio il gelato alla pesca, non ai mirtilli.”
    “Non me ne dimenticherò,” le promise. “Hai a disposizione l’intero villaggio che prepara il tuo piatto preferito. Scommetto che, quando il disgelo della primavera arriverà e non potranno fare il tuo gelato, impazziranno.”
    Jane sorrise. Non era riuscita a resistere dall’insegnare agli abitanti del villaggio quelle poche cose che riteneva assolutamente non pericolose. Non era andare avanti con la tecnologia prima del suo tempo. Aprendo le tende osservò fuori dalla finestra dietro il letto. “Ha nevicato di nuovo la scorsa notte. Guarda… non è bellissimo, Aedan?” Esclamò.
    Aedan chiuse le tende della finestra e le mise attorno delle coperte, in modo molto protettivo. “Si, è bellissimo e dannatamente freddo. Sei abbastanza al caldo?” Si preoccupò. Senza aspettare la sua risposta, accatastò diversi ciocchi di legno nel fuoco e li sistemò con attenzione. “Non voglio che esci fuori dal letto. Non devi prenderti un raffreddore.”
    Jane fece una faccia strana. “Non sono così avanti, Aedan. Ho ancora altri due mesi.”
    “Non correrò nessun rischio con te o con nostra figlia.”
    “Figlio.”
    “Figlia.”
    La risata di Jane si bloccò improvvisamente quando la prese tra le braccia e la baciò a lungo e con passione prima di andare.
    Al portone si fermò un istante. “Se è una bambina,” chiese con dolcezza, “pensi che potremmo chiamarla Rose?”
    “Oh certo, Aedan,” rispose Jane con calore. “Mi piacerebbe.”
    Dopo che se ne andò, Jane si stese sui cuscini, meravigliata. Sette mesi erano passati dal suo arrivo a Dun Haakon, e sebbene c’erano state delle difficoltà, non avrebbe scambiato ciò che aveva per nulla al mondo.
    Aedan aveva ancora il peso dell’oscurità dentro di lui, di tempi e cose di cui raramente parlava. C’erano stati mesi severi mentre era in lutto per la perdita del suo clan. Ma alla fine, una mattina era scesa dalla loro nuova camera da letto e lo aveva trovato ad appendere i vecchi ritratti nel salone. Lo aveva guardato, pregando che non avesse uno sguardo duro negli occhi e quando aveva alzato la testa, le aveva sorriso e il suo cuore aveva preso il volo.
    “È il momento di onorare il passato,” le aveva detto. “Abbiamo una storia ricca, tesoro. Voglio che i nostri figli conoscano i loro nonni.”
    Dopo aveva fatto l’amore con lei, lì nel salone. Si erano rotolati insieme sul pavimento, avevano fatto una pausa sul tavolo per un breve e caldo interludio e alla fine erano finiti, si ricordò arrossendo, in una posizione molto interessante su una sedia.
    Tutti i suoi sogni erano diventati realtà. Le donne del villaggio aspettavano con il fiato in gola l’ultima “puntata” del suo romanzo di serie. Si erano beate di ogni parola, assaporandone l’amore, e la magia era uscita fuori per riversarsi nei loro focolai e nelle loro case. E nessuno si era mai lamentato della prosa rosa o di errori di battitura.
    Lei era una cantastorie con un pubblico insaziabile, una quasi madre, aveva una mucca da latte tutta sua, abbastanza acqua calda, il profumo del suo uomo su tutta la pelle e dormiva ogni notte stretta tra le sue braccia.
    Sognante, sospirò, appoggiando una mano sulla sua pancia. Sexpot sbadigliò mostrando la sua rosea lingua e sgattaiolò accanto a lei.
    La vita era meravigliosa.





    Fine_56



    Edited by StaffIsde - 12/3/2021, 21:12
     
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